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FERRARI Agostino

  -    -    -  FERRARI Agostino
Agostino Ferrari nasce a Milano il 9 novembre 1938. Attratto dal mondo dell’arte sin dall’infanzia, dopo aver compiuto studi di carattere scientifico, inizia l’attività di pittore nel 1959, anno in cui conosce Remo Brindisi, che subito lo accoglie a lavorare nel suo studio. Nel 1961 si inaugura la sua prima mostra personale alla galleria Pater di Milano, con la presentazione di Giorgio Kaisserlian. Le opere dei primi anni, che Ferrari raggruppa con i termini Natura Paesaggio Circostante, hanno per oggetto il paesaggio della periferia industriale milanese di fine anni ‘50 e, pur trattandosi di quadri aniconici che risentono ancora della presenza di un certo Informale, esprimono una forte influenza naturalistica. Importante è l’incontro con Angelo Verga, Ettore Sordini, Ugo La Pietra, Alberto Lucia e Arturo Vermi, con il quale ha già un rapporto di amicizia.

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Questo incontro segna la nascita, nel 1962, del gruppo del “Cenobio”, termine di radice monastica che prende il significato di “gruppo di artisti uniti dal medesimo ideale”. Il gruppo, che ha vita breve, lascia una testimonianza importante nella poliedrica situazione milanese di quel periodo, ed è fondamentale per Ferrari, in quanto coincide con l’inizio della sua ricerca sul segno, che sarà il filo conduttore di tutta la sua opera. Il Cenobio, secondo una lettura posteriore degli stessi componenti del gruppo, vuole “salvare la pittura”, vuole difenderla dalle posizioni ormai radicali ed esistenziali di Manzoni e dal nascente gusto dell’evento e di ciò che, successivamente, verrà definito installazione. La via da seguire è quella che porta ad un uso minimale del segno pittorico. Il tentativo è di riportare la pittura ad un “grado zero”, ad un momento primordiale, prima che il segno diventi simbolo e scrittura. La poetica del gruppo viene interpretata da Lucia nel riconoscimento di una sensibilità creativa, che il poeta enuncia in cinque punti: intelletto acuto, finezza del sentire, intuizione, fiuto del dotto, senso pratico, e nella consapevolezza per gli artisti della difficoltà di procedere a invenzioni radicali. Tra il 1963 e il 1964 si conclude questa breve avventura, il Cenobio si scioglie, ma i suoi componenti restano, chi più chi meno, legati tra loro. Nel 1963 il segno di Ferrari si tramuta in una vera e propria scrittura non significante, una grafia policroma, dinamica. Nel biennio 1962-1964, denominato dall’artista Segno-Scrìttura, la sua attenzione non è rivolta alla scrittura come mezzo di comunicazione codificato, e quindi riconoscibile, ma ad una scrittura che si fa arte, che trova il proprio valore nella sua stessa funzione visiva e non verbale, nel simbolo emozionale che esso rappresenta. In queste opere è presente la volontà di Ferrari di raccontare episodi del quotidiano, di dichiarare una sua poetica; per farlo, non si serve della scrittura come scrittura, ma ne crea una fatta di segni, emozioni, sensazioni, rimandi che istintivamente riportano la memoria dell’osservatore a qualcosa di profondo. Nel biennio 1964-1965, compie due viaggi a New York che gli permettono di conoscere l’ambiente della pop art e artisti come Lichtenstein, Rauschenberg, Jasper Johns, Billy Apple. In questa ottica nuova di ricerca si inserisce la serie dei Labirinti, dipinti che rappresentano la volontà di “abbandonare” il racconto, la narrazione, per porre invece maggiore attenzione alla descrizione di concetti plastici. L’esperienza americana, pur lontana dalla visione artistica di Ferrari, influisce quindi sul segno, che assume progressivamente un valore più plastico. Tra il 1966 e il 1967, inizia una serie di opere dal titolo Teatro del segno, nelle quali il segno si manifesta sotto forme diverse, ma sempre come protagonista assoluto dell’opera; queste opere superano la bidimensionalità del quadro e si trasformano in quadri-oggetto. L’artista vuole dare un’immagine più fisica del segno, pensa che il segno abbia caratteristiche oggettive. Nel Teatro del segno sono presenti quattro elementi di diversa natura fìsica: il segno pittorico, dipinto su un piano bianco; il segno simbolo, dipinto su una superficie trasparente; il segno fisico positivo, realizzato con dei fili di acciaio o di altri materiali che si pongono in rilievo sulla superficie; il segno fisico negativo, rappresentato da una fessura intagliata nel pannello di legno. Quasi contemporanea è la serie di opere dal titolo Forma Totale. Sono quadri che superano il limite perimetrale della tela e del pannello e che riescono a dialogare sia internamente, tra frammento e forma totale, sia esternamente, dando allo spettatore la sensazione di un equilibrio armonico tra le forme, i segni pittorici e l’uso esclusivo dei due colori bianco e azzurro che riescono ad essere caldi grazie al ritmo dell’opera. La ricerca dell’artista è di carattere plastico, come scrive anche Lucio Fontana, nel 1967, nella presentazione ad una mostra di Ferrari. Nei primi anni Settanta, l’artista inizia la sua ricerca intorno al colore, che in seguito mette in relazione al segno ed alla forma. L’aspetto emotivo legato al colore è ciò che indagherà in maniera più approfondita nella ricerca che si appresta a compiere. Ferrari accompagna i vari momenti del suo lavoro con una serie di scritti che rappresentano, per l’artista, parte integrante dell’evoluzione della sua opera, e che risultano preziosi per chi vuole approfondire e conoscere il percorso teorico che egli affronta, prima di giungere nel 1975 alla creazione dell’Autoritratto, apice e al tempo stesso sintesi di un lavoro di cinque anni. Nel 1972 presenta le opere intitolate Segno-Forma-Colore. Nello stesso anno, alla Galleria San Fermo, e nel 1974, al Museo della Scienza e della Tecnica di Milano, Ferrari presenta l’organizzazione de Segno-Forma-Colore all’interno dello spazio di 20.000.000 di anni luce proposto da Vermi. L’indagine sulla percezione ottico-visiva del colore, sul suo rapporto con la forma e sul suo valore psicologico-emozionale, viene condotta da Ferrari in maniera personale ed originale, pur tenendo necessariamente conto dell’esperienza di quegli autori che nel Novecento, in particolare in ambito astratto, hanno affrontato questo tema. Dal 1972 al 1975 l’artista cerca di determinare le relazioni psicologiche che hanno su di lui i colori. Questo lavoro lo porta a realizzare nel 1975 un’opera di grandi dimensioni: l’Autoritratto, la sua unica installazione, che l’anno successivo viene esposta anche a Palazzo Diamanti, a Ferrara, all’interno di una mostra personale. Tra il 1976 e il 1978, realizza l’Alfabeto, gruppo di opere che rappresentano la sintesi di quanto contenuto nell’Autoritratto. Nel 1978 riemerge in Ferrari la voglia di esprimersi con il segno, inteso come unico elemento in grado di avere la maggior “aderenza ai suoi stati d’animo”. Realizza così i Giardini e i Ricordi, opere in cui si trova la presenza di un segno-segnale, di cenni dati da colori gioiosi che nascono dal tentativo di dar vita ad una pittura segnica, ma non impegnata. La necessità dell’artista di ritornare al segno e alla pittura non deve essere intesa come una regressione, ma, al contrario, come una svolta inaspettata e non programmata della sua ricerca artistica. Dopo tale esperienza nasce il desiderio di rifondare il segno che pian piano riprende forma di scrittura, intesa però qui come memoria o ricordo. Dagli anni Ottanta, e precisamente dal 1983, il segno diviene protagonista incontrastato degli Eventi, opere nelle quali non usa le scritture per raccontare, ma per “fermare” se stesso su un “simbolo di pagina tempo”. Il segno risulta totalmente libero da sovrastrutture e riesce ad esprimersi nella sua totalità, manifestandosi dinamicamente nell’intera superficie del quadro. Rappresentato come scrittura lineare, il segno appare come se fosse urlato. Queste opere sono realizzate con la sabbia nera di Otranto, materiale che gli permette di esprimere tutta la teatralità del segno e che anche oggi rappresenta l’elemento fondamentale della sua pittura. Sono opere nelle quali si legge tutta la liricità dell’artista: attraverso la sabbia il segno traccia i suoi percorsi nello spazio del quadro ed oltre. Nel 1995, partecipa alla serie di quattro mostre dedicate al gruppo del “Cenobio”: a Palazzo Martinengo a Brescia, alla Galleria Peccolo di Livorno, all’Artestudio a Milano ed allo Studio Delise a Portogruaro. Nel 1996, presso la Galleria Lorenzelli di Milano, Ferrari presenta per la prima volta i Frammenti, opere nelle quali la linearità del segno ha lasciato posto al caos, le forme si incontrano e si scontrano liberamente nello spazio della tela, la scrittura si spezza in tutte le direzioni. In seguito, l’artista interviene sull’opera dandole un nuovo equilibrio nei movimenti spaziali: nascono le Maternità. In questi quadri, Ferrari ha ristabilito l’aspetto compositivo, individuato in un nucleo centrale: l’origine, la matrice, il contenuto segnico dal quale scaturisce il quadro stesso nella sua totalità. Nelle Maternità, la composizione delle forme ed i giochi chiaro-scuri che nascono dalla contrapposizione del nero e dell’oro trasmettono all’osservatore l’impressione che ogni singolo quadro contenga, pur nella sua finitezza, un rimando esterno, una forza nel movimento che va ben oltre i bordi della tela e che fa parte di un progetto e di un racconto che Ferrari continua a scrivere attraverso le sue opere. Il lavoro attuale dell’artista si incentra sulla realizzazione di opere alle quali dà il titolo di Oltre la soglia. Questi quadri sono composti da una parte dominata dal racconto segnico e da un’altra rappresentata da una superficie nera, sulla quale il racconto si annulla o si modifica. Il racconto lineare si interrompe quasi bruscamente e sembra sospeso tra il conscio e l’inconscio, tra l’essere e il non essere, tra la luce e il buio, tra la realtà del passato e l’ignoto del futuro che ancora deve scoprire e rivelare. Vi è quindi la manifesta intenzione di Ferrari, giunto alla maturità, di introdurre nelle sue opere un rimando interiore ed intimista. L’evidente passaggio di soglia fra i due diversi piani chiarisce il titolo stesso delle opere. Ferrari riesce a creare opere di una modernità sorprendente, restando ancorato alla tradizione della pittura, al gesto e dimostrando che l’arte, ed in particolare la pittura, continua ad essere uno dei mezzi più potenti e straordinariamente evocativi che l’uomo ha a disposizione per indagare e raccontare la propria natura. Nel 2005, Ferrari è stato invitato alla Quadriennale di Roma, all’interno della sezione di Arte Contemporanea, occasione per la quale ha realizzato un’opera di grandi dimensioni (1,60 x 3,60 m) appartenente alla serie Oltre la soglia, tele il cui elemento caratterizzante è un suggestivo varco buio nella parte centrale, un nero assoluto che nelle intenzioni dell’artista rappresenta “tutto quello che sta oltre la coincidenza temporale dell’uomo prima della nascita e dopo la morte (…) la limitatezza del nostro pensiero rispetto a quell’infinitamente grande che è tutto ciò che non sappiamo”. Rientrano concettualmente in questo ciclo anche i tre grandi murali che Ferrari esegue nel 2007, su incarico dell’impresa edile Valdadige Costruzioni di Verona e del gruppo Land (Landscape Architecture) di Milano, nella piazza Borgoverde di Vimodrone. Sempre del 2007 è un’esaustiva antologica alla Galleria Centro Steccata di Parma. Un panorama del percorso artistico di Agostino Ferrari, di ancor maggiore completezza e che ne sottolinea la profonda coerenza pur attraverso le differenti stagioni, è offerto nel 2010 dalla mostra alla Casa del Mantegna di Mantova curata da Martina Corgnati. In questa cornice particolarmente evocativa viene esposta in tutta la sua monumentale tridimensionalità la spirale dell’Autoritratto. Ed è anche l’occasione per presentare le prime tele del ciclo Interno/Esterno, che risolvono l’insondabile nero della serie precedente in nuova scrittura, in segno riacquistato, in un gesto di rinnovata fiducia nelle capacità conoscitive dell’Uomo, nella sua curiosità tenace. Nel 2011 la Fundación Cultural Frax (L’Alfás del Pi, Alicante) organizza una vasta antologica dell’artista, la prima in terra iberica, riscuotendo ampi consensi di critica e pubblico. Agostino Ferrari vive e lavora a Milano.

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